Lo studio non alleviava né la
solitudine né il disagio con i quali convivevo, ma un certo
conforto lo trovavo nel disegnare soggetti vari: tronchi contorti,
boscaglie impenetrabili, figure zoomorfe... che mi ridavano per
un po' la libertà di spaziare all'aperto e oltrepassare quelle
pareti. Cominciavo a capire la natura taumaturgica dell'Arte e vedere
nell'Artista una figura di mediatore che trascende la realtà
e la proietta in una dimensione ideale. Mi riconobbero questa certa
abilità insegnanti e compagni quindi, per naturale cammino,
dopo la Licenza Media approdai all'Istituto d'Arte, sezione Scenografia.
Ma negli anni della contestazione la scuola, troppo impegnata nella
politica, non offriva molto o non colsi a fondo le opportunità
che mi dava. Tuttavia, le numerose assemblee, le dimostrazioni di
piazza, gli scioperi (ai quali non era obbligatorio partecipare)
mi permettevano di isolarmi (ricordo la sagrestia freddissima della
Cappella del collegio) per dipingere a olio. Senza insegnanti. Ed
in quelle tele economiche, prendevano forma enormi coleotteri ed
insetti mostruosi suggeritemi non so da chi, forse dalla mia stessa
inquietudine. Rafforzavo in me la convinzione che l'Artista, per
intercessione della Natura fosse interprete del "Bello"
e in virtù della sua immaginazione, egli potesse rendere
"Fantastico" un mondo tangibile e codificato. Queste sensazioni,
istintive nella mia mente dì post adolescente, mi crearono
non poche reticenze nell'accettazione della pittura astratta (accesso
obbligatorio verso l'arte contemporanea); capivo che questa, entrando
nella parte irrazionale dell'esperienza umana, il "Bello"
lo superava, il "Fantastico" lo oltrepassava, costruendosi
leggi proprie e rifiutando l'oggettività comunicativa. Lo
capivo, ma non lo accettavo; e ne ebbi ulteriore conferma quando,
dopo la maturità, frequentai per conto mio i Musei e consultai
molti libri d'arte. Con la convinzione che nella vita avrei dipinto,
cominciai ad affinare la tecnica e ad impadronirmi dei mezzi. Magritte
catturò la mia attenzione: quella capacità di rendere
visibile l'invisibile, quel sorprendere, destabilizzare lo spettatore
in una sorta di messinscena di oggetti comuni in contesti assurdi
mi trovava in linea di pensiero e condivisi con quella pittura qualche
anno di lavoro (ne è rimasta traccia tuttora). Poi, con un
salto indietro nel tempo, approdai nel mondo dei fiamminghi! Bosch
mi accolse nel suo "Giardino delle delizie", conducendomi
nei labirinti del suo inconscio fantasmagorico in cui mi trovavo
a mio agio e non mi sorprendeva scorgere dietro fiori paradisiaci
ventri squamosi e viscidi corpi di lucertola. Con Brueghel mi ritrovai
fanciullo: nei campi, nei boschi, negli acciottolati e negli orizzonti
infiniti riconobbi gli odori e i sapori della Natura che possedevo,
bambino, e dalla quale ero posseduto. Tutta la pittura fiamminga
tra Quattrocento e Cinquecento mi inebriò; su quella tecnica
prodigiosa sapiente e trasparente mi sono forgiato e quella polifonia
di colori incredibili, quegli angoli in ombra, nicchie e scale che
si perdono nel buio, costituirono per me un vero laboratorio.
Affinatomi, ma ancora lontano dall'essere raffinato, conobbi Caravaggio.
Donde viene quella luce folgorante che invade corpi, oggetti e panneggi,
cavati dal buio più profondo? Quegli anonimi volti, attoniti
e trasecolati, la cui pelle trasuda stupore terrore meraviglia,
testimoni di avvenimenti più grandi di loro...
Spegni quella luce e tutto si immiserisce e si decompone. Quando
vidi dal vero la "Conversione di Paolo", mi commossi fino
alle lacrime.
Poi Rembrandt. Con lui, la luce più che provenire dall'esterno,
sembra impastata coi colori stessi e i suoi personaggi godono, come
gli astri, di luce propria. Turner mi ha regalato ulteriori gioie;
per cogliere la suggestione delle sue atmosfere l'occhio deve essere
bene allenato. Qui la luce, con avvolgente liquidità, avviluppa
i corpi filtrando in ogni fibra, senza scampo. Friedrich mi ha fatto
comprendere l'essenzialità, nella pittura; spesso, solo con
me stesso ho vagato in quella "Abbazia nel querceto",
rattrappito nella fredda nebbia invernale. I suoi paesaggi sono
spazi infiniti; destano un lieve senso di malinconia e di turbamento
e sebbene siano eseguiti con un altissimo grado di perfezione tecnica,
più dell'occhio, colpiscono l'animo.
Questi maestri e molti altri mi hanno formato, e adesso mi ritrovo
ad essere un pittore realista con sconfinamenti iperrealisti, surrealisti
e simbolisti, in un mondo artistico e contemporaneo che è
tutto questo e la sua negazione. Nella consapevolezza che ogni pittore
sia figlio del suo tempo, e per questo mai fuori tendenza se convinto
di ció che fa, ritengo comunque che abbia l'obbligo morale
di migliorarsi ulteriormente, e per se stesso e per gli altri. |